Per la ricorrenza dei 20 anni dalla presentazione della Brera Concept al Salone di Ginevra del 2002, 939 Privilege Owners Club, in collaborazione con SpeedHolics e con GfG Style e Italdesign ha realizzato un tributo unico al Designer Giorgetto Giugiaro e alla Concept. Un incontro a Moncalieri, alle porte di Torino, nel quartier generale della GFG Style, la compagnia fondata nel 2015 assieme al figlio Fabrizio. SpeedHolics dedica all'evento le risorse migliori, Alessandro Barteletti, fotografo, giornalista e Editor-in-chief di SpeedHolics, Paolo Carlini fotografo, e Andrea Ruggeri, film maker, tutti con un curriculum di grande valore in ambito automotive. Abbiamo deciso di raccontare questo evento unico con una serie di post che ci conducono attraverso il lavoro documentale realizzato fino alla testimonianza diretta di Giorgetto Giugiaro sitentizzata in una video intervista e articolo.
Dopo una giornata trascorsa con Giorgetto Giugiaro capiamo quale privilegio ci sia stato concesso. Heritage, cultura, passione automobilistiche raccontate in quasi un ora di conversatione della quale ci rimane un insegnamento. Il successo e l'abilità di lasciare un segno non è da tutti, ma anche per coloro che possono dire di averlo ottenuto, alcune qualità sono essenziali: la passione, la determinazione e concretezza, la consapevolezza che il bello si costruisce allenandosi ed aggiungendo ad ogni esercizio un certo grado di perfezionamento. Grazie Giorgetto Giugiaro. La sintesi dell'intervista tradotta in italiano qui sotto.
Qui l'articolo completo in lingua inglese con tutte le foto e la video intervista.
Foto Alessandro Barteletti - © SpeedHolics - Exclusive 939 Privilege - Riproduzione vietata. Intervista di Alessandro Barteletti
Frutto di una ricerca intima e personale, Giorgetto Giugiaro diede vita a un progetto fuori dagli schemi e dalle regole del suo tempo. Tanto che, sollevato il velo al Salone di Ginevra del 2002, il risultato lasciò tutti senza fiato. Venti anni più tardi, SpeedHolics ne racconta la storia attraverso un’intervista esclusiva al suo creatore.
Accarezza il fianco, sfiora le linee, segue le forme. La mano di Giorgetto Giugiaro si muove sicura intorno ai volumi di una delle sculture più straordinarie mai realizzate. Suggerisce una prospettiva ben precisa, a circa tre quarti del lato posteriore sinistro. “Si metta qui. La vede? È una linea unica che parte davanti e finisce dietro. Gira qui e sfuma al centro del lunotto”. Guardando invece il parafango anteriore: “Questo spigolo doveva essere più marcato. Così un po’ si perde”. Davanti al frontale: “Il taglio qui non c’è, altrimenti c’era da fare una giunta lì e una anche là…”. I pensieri e le parole di Giugiaro viaggiano alla velocità della luce mentre mi guida intorno all’Alfa Romeo Brera Concept: la scultura è lei e a venti anni esatti dalla presentazione al Salone di Ginevra - era il marzo del 2002 - ci troviamo di fronte all’unico esemplare costruito.
Siamo a Moncalieri, alle porte di Torino, sede della GFG Style, la compagnia fondata nel 2015 assieme al figlio Fabrizio. Qui sono conservate alcune delle automobili disegnate in oltre sessant’anni di mestiere: maquette, vetture di serie e prototipi raccontano la storia e l’ingegno dell’uomo classe 1938 che può vantare sette lauree ad honorem, cinque premi Compasso d’Oro - quello del 2004 proprio grazie alla Brera - e il riconoscimento universale di Car Designer del Secolo.
Ogni sfumatura della Concept svela che agli inizi degli anni Duemila Giugiaro ha fatto un piccolo, grande miracolo. Ha ignorato le sterili regole del marketing, è uscito dalle leggi del mercato e si è ritirato in una ricerca intima e personale. È in quel luogo dell’anima che ha trovato l’ispirazione per plasmare le forme di un’opera tanto contemporanea quanto classica, ed è per questo che mi preparo a un’intervista che non sarà una mera disquisizione di soluzioni tecniche e stilistiche, ma un ascolto del suo modo di sentire e vedere le cose. “Io definirei la Brera Concept il risultato di un processo di puro egoismo perché alla veneranda età di sessantaquattro anni ho voluto realizzare un progetto che fosse personale e che quindi piacesse a me. Ne è uscita fuori una dichiarazione d’amore per il marchio a cui devo tutto: l’Alfa Romeo”.
Quelle della Brera sono forme originali e mai viste prima ma da qualunque parte le si guardi rivelano senza dubbio alcuno che quella è un’autentica un’Alfa Romeo. “Non esiste una formula precisa, certe cose le assimili, vengono dal tuo passato e dalla tua esperienza. L’ispirazione in quei casi è una sorta di magia, ossia proporre in modo nuovo le semplici linee che identificano la fisionomia di un marchio”. Giugiaro, d’altronde, è il designer che più di tutti ha personalmente contribuito a definire lo stile e gli stilemi dell’Alfa Romeo nell’era moderna. Non ha dovuto studiare il passato per interpretare il futuro perché di quel passato ne è in parte lui stesso autore e artefice. A farglielo presente, si innesca una reazione a catena di aneddoti che riportano la sua mente indietro nel tempo fino alla fine degli anni Cinquanta. Gli inizi della sua carriera. “Ero solo un ragazzino di vent’anni, lavoravo alla Fiat ma avevo seguito un corso di illustrazione e mi sarebbe piaciuto andare anche in quella direzione. Un giorno, al Salone di Torino, un amico mi presentò Bertone il quale, saputo cosa facevo, mi disse di portargli qualcosa di mio. Andai e lui mi consegnò il disegno del telaio dell’Alfa Romeo 2600 chiedendomi di farci su uno studio. Abbozzai alcune viste e lui si prese una settimana di tempo per valutarle. Io fremevo perché volevo comprarmi un paio di sci nuovi e speravo che da quei disegni avrei guadagnato qualcosa. In realtà si fece vivo non più di tre o quattro giorni dopo: ‘I disegni vanno bene, l’Alfa Romeo farà questa vettura’, mi disse”. Il giovane Giorgetto non aveva capito che Bertone li avrebbe presi in considerazione portandoli addirittura a Milano. “Ero al settimo cielo, ma al tempo stesso non sapevo come fare con il mio impiego alla Fiat. Bertone mi chiese quanto guadagnassi e gli risposi che la mia paga era di 80.000 Lire al mese. Lui me ne offrì 120.000. Mi licenziai in tronco e fui assunto dalla Bertone nonostante di lì a poco sarei dovuto partire per il servizio di leva militare. L’Alfa Romeo 2600 Sprint e la mia storia con l’Alfa Romeo nacquero così”.
Seguiranno la Giulia Sprint GT, prototipi come la Canguro e - con la Italdesign - la Iguana e la Caimano, vetture di serie come l’Alfasud, l’Alfetta GT e l’Alfasud Sprint, fino ad arrivare al restyling della 156, alla Brera e alla 159. “Il vantaggio di un’Alfa è che ha il suo scudetto tanto identificativo quanto particolare: basta quello per riconoscerne subito una. Ma al tempo stesso ha per tradizione un’impostazione sportiva e una meccanica di prestigio, e a disegnarle il vestito è sempre una grande responsabilità. La missione, per nulla facile, è riuscire a trasferire all’esterno quella che è la sostanza all’interno. La carrozzeria deve descrivere cosa c’è sotto al cofano”.
È questo il motivo per cui Giugiaro ha scelto per la sua Brera una meccanica di altissimo lignaggio. “Volevo fosse un gradino sopra a quanto visto fino a quel momento, quindi lavorai su una piattaforma che potesse montare un motore V8 disposto longitudinalmente”. Sollevato il cofano in fibra di carbonio, materiale usato anche per il resto della vettura, si scopre un quattro litri di derivazione Maserati capace di erogare una potenza massima di 400 cavalli. Il collettore di aspirazione rosso e il ricercato disegno del vano motore regalano all’otto cilindri l’immagine di un cuore pulsante, incastonato in mezzo a quella che sembra una costellazione di pietre preziose. In realtà si tratta di raffinati tappi in alluminio fresato che consentono il rabbocco dei liquidi.
La posizione anteriore-centrale del motore, quindi arretrata perché all’interno dell’asse, ha lasciato al designer totale libertà sul disegno e sulle proporzioni del frontale che mostra per la prima volta - e forse involontariamente - quello che sarà il family feeling delle Alfa Romeo di serie della seconda metà degli anni Duemila. “Parlando dei gruppi ottici anteriori, ho scelto di inserire tre parabole in quella che sembra una fessura ricavata nella carrozzeria. Volevo che, girando verso il fianco, le parabole sparissero alla vista e che le fessure prendessero le sembianze di una presa d’aria. Un modo per evidenziare ancora una volta la sportività e l’aggressività che la vettura doveva trasmettere”. E poi ci sono le porte, monumentali nelle dimensioni, che si aprono verso l’alto: una soluzione tanto spettacolare quanto pratica. “Immaginate di doverle aprire in maniera tradizionale, in un parcheggio stretto sarebbe impossibile scendere dall’auto”.
Contrariamente al pensiero di molti, Giugiaro si avvicina a un nuovo progetto con un approccio sempre molto pragmatico. “Soprattutto oggi, i giovani cominciano da uno schizzo, ma come si fa a disegnare un’automobile in questa maniera? Devi partire dalla realtà, per questo non mi lascio suggestionare dalle mie visioni, bensì definisco prima tutti i paletti che il progetto impone: non ho mai voluto illudere il mio committente con qualcosa che al dunque non fosse realizzabile. Per me si comincia dalla matematica. Parlo degli ingombri, dell’abitabilità, della sporgenza del motore, dello scuotimento delle ruote. Fisso prima tutti questi punti ed è solo quando traccio le linee per unirli che subentra la creatività”.
Giugiaro si è più volte definito un cultore dei dettagli e degli equilibri e con la Brera non ha tradito la sua vocazione. “È un esercizio che parte da lontano. Come un atleta che si allena tutti i giorni, il designer ripete un’idea, un concetto, un’intuizione e ogni volta migliora la prestazione. È così che si raggiunge la sensibilità verso l’equilibrio delle forme o la proporzione dei volumi. La Brera nacque in un momento in cui c’era bisogno di semplificare perché con le auto è come con certe canzoni: quando diventano troppo complicate non riesci più ad assimilarle. Altre, più semplici, ti entrano dentro al primo ascolto”. Ed è proprio quello che la Concept ha fatto: acclamata dalla critica e dalla stampa al Salone di Ginevra del 2002, nel suo presente è diventata subito un classico. Tanto che l’Alfa Romeo, di lì a breve, si sarebbe trovata nella condizione di doverla tradurre in una vettura di serie, dando vita alla Brera che nel 2005 è entrata nei listini della Casa. Una storia lunga e travagliata che nella tradizione del Biscione ha un precedente: quello della Montreal, presentata come prototipo all’Expo del 1967 in Canada, fu acclamata al punto da diventare una vettura di serie tre anni e tanti compromessi più tardi.
Ricorda Giugiaro: “Si percepii subito che il pubblico e gli esperti non volevano che il mio esercizio finisse lì ma che avesse un seguito. La cosa mi fece piacere ma io non l’avevo pensata come una vettura per la grande serie. Non mi ero preoccupato degli aspetti omologativi, dei costi o dei criteri di produzione e stampaggio. La forma del vetro, per esempio, come l’ho disegnata io non permetteva la discesa del cristallo all’interno della portiera. Oppure il frontale in un pezzo unico: se fai un prototipo va bene, ma se devi produrre l’auto in serie andrà scomposto in più parti. Sono tutti adattamenti a cui si può arrivare senza stravolgere l’essenza del progetto. Quando vidi il risultato finale, invece, mi venne in mente la storia del volto dell’uomo. Tutti abbiamo gli occhi, le sopracciglia, il naso, la bocca: da millenni è la loro forma, leggermente diversa da un individuo all’altro, a renderci unici tra miliardi di combinazioni. Quando poi escono fuori certe proporzioni, come per magia diventiamo anche belli e attraenti. Ecco, con l’automobile è lo stesso: bastano differenze minime per ottenere ma anche per stravolgere un equilibrio perfetto. E questo è quello che secondo me è successo quando i parametri e le misure del prototipo sono stati rimaneggiati per dare vita alla Brera di serie”.
Nel passato dell’Alfa Romeo e di Giugiaro si incontrano automobili con i nomi più disparati. Ci sono quelli di donna, quelli ispirati al mondo animale, quelli che derivano direttamente dal numero di progetto. Ma Brera non appartiene a nulla di tutto ciò. “Brera è una zona di Milano, quindi un ulteriore omaggio all’Alfa Romeo che è nata lì, ma soprattutto è un quartiere che nell’immaginario collettivo evoca un concetto di arte, raffinatezza e cultura. Io trovo che il prodotto automobilistico sia nel suo insieme qualcosa di estremamente affascinante: è una gioia osservare una meccanica, oppure certe soluzioni della lamiera, come fossero una scultura”. Giugiaro si interrompe, fa una pausa e posa per un attimo lo sguardo verso la sala che ospita le sue auto. “Lo ammetto: mi piace pensare che l’automobile, in quanto frutto dell’ingegno e della creatività dell’uomo, possa essere considerata un’opera d’arte”.
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